Il 31 Luglio 2020 mi sono ufficialmente dimessa dal mio posto di lavoro a tempo indeterminato. È stato come saltare giù dal balcone che, seppure traballante per via del covid, apparentemente mi dava un senso di sicurezza, e ora c’è il vuoto davanti a me.
Questo per cosa?
Per aprire il mio locale, per cucinare, per seguire la mia passione, ed essere finalmente LIBERA.
Ci sono cose che sono sotto il nostro naso, da sempre, eppure non ce ne rendiamo conto proprio perché sono così scontate e le confondiamo con il sottofondo dell’esistenza. Sembra banale dirlo ma è proprio così: solo con l’età e l’esperienza si riescono a vedere le cose nitidamente, così come sono, senza il velo delle opinioni degli altri, della società, e delle proprie false convinzioni dettate sempre dal senso comune.
Non era mai stato nei miei piani aprire un locale, anzi. Quando la mia famiglia chiuse la rosticceria cinese in Via Emilia Levante a Bologna, la me bambina si disse tra sé e sé che mai e poi mai avrebbe lavorato in un bar o in un ristorante, ad essere schiava del lavoro, a non avere tempo per me stessa e i miei cari. Io sarei stata diversa, avrei studiato, avrei trovato un bel lavoro presso aziende italiane, e lì avrei fatto carriera, e avrei vissuto una vita tranquilla e forse felice. Infatti, ho studiato, sono stata la prima in famiglia a diplomarmi e a conseguire la laurea, poi il master, il tutto contando solo sulle mie forze, lavorando tra una lezione e un’altra. No, non è vero, non sono mai stata sola, avevo i miei amici che seppure da lontano contavano su di me, le mie sorelle/cugine, e potevo contare sull’ ingenuità e sulla speranza che solo la gioventù può dare.
Ho fatto di tutto, la barista, la cameriera al ristorante giapponese, la cameriera per catering. Ricordo i piatti pesantissimi e roventi che dovevo portare poggiati elegantemente sul polso, ma il mio polso era debole e riuscivo a portare solo un piatto alla volta. Ricordo come fosse ieri il rifiuto di un ristorante cinese a Mestre, su cui avevo contato molto, tanto da comprare una camicia nuova da H&M, e ricordo il pianto silenzioso in piazza Ferretto, credendo che non ce l’avrei fatta nella mia pazza idea di studiare. Ricordo la vergogna insensata che provai quando dovevo dare il mio curriculum ad un hotel a 4 stelle a Venezia, per candidarmi a fare la cameriera ai piani, senza alcuna esperienza, non avevo il coraggio di entrare nell’elegante hall, poi mi sono seduta sul canaletto davanti, fissando le gondole che passavano e mi sono detta che ero lì per una ragione, per studiare, e non aveva senso provare vergogna. Solo a Venezia scoprii che le mie origini cinesi potevano contare, anzi, potevano essere determinanti per la selezione ad un lavoro. Scoprii che il mio paese d’origine, in cui non tornavo da dieci anni, era diventato una superpotenza mondiale, vi erano flotte di turisti cinesi che assaltavano le boutique di lusso veneziane e quindi vi era la necessità di personale parlante cinese. È stata la mia benedizione e la mia condanna.
Vedete, ero cresciuta a Bologna, che in quegli anni non era poi così turistica, ho frequentato il liceo classico, leggevo tantissimi romanzi. Vivevo nel mio mondo d’ovatta incentrata sulla cultura prettamente occidentale, studiavo le tragedie greche e le poesie latine, leggevo romanzi inglesi, imparavo a memoria poesie italiane del Novecento. “Meriggiare pallido e assorto” mi viene in mente ora, con la calura che tocca i 40 gradi all’ombra. E avevo dimenticato le mie origini, non sapevo nulla della mia identità, perché anche se sapevo di essere “diversa” la mia esperienza scolastica mi aveva inglobato a sé e al mondo occidentale-italico, diventando una parte del tutto. A Venezia scoprii che con il mio bagaglio della conoscenza della lingua cinese potevo riuscire sia a lavorare che a studiare, il primo ha prevalso inevitabilmente sul secondo.
Ho lavorato in bei posti di lavoro, prima in boutique, poi, dopo il Master, in uffici commerciali, io che ero partita senza nulla, mi ritrovai ad avere pure la tredicesima e la quattordicesima, e all’inizio mi era incredibile che le ferie fossero pure pagate. Ma non ho fatto carriera. Dopo tre, quattro, cinque posti di lavoro nell’arco di dieci anni, qualcosa piano piano mi si era delineato davanti, palesandosi chiaramente durante il periodo in cui l’Italia intera era in lockdown per il covid : che nessuno dei lavori che avevo fatto finora mi avevano reso davvero felice. Ovunque andassi ho sempre dovuto lottare, mostrare a qualcuno che ero capace, meritevole di quel posto di lavoro, anche se ero donna, anche se ero straniera, cinese. E spesso e volentieri è stato tutto vano, perché arrivava il collega di turno con meno esperienza, meno titoli, ma con più carte in regola per scalare i gradini della società. Io, le carte in regola non le ho mai avute e non le avrò mai, fintanto che sarò donna e cinese, fintanto che sarò io, perché la società italiana che ho conosciuto è fortemente, radicalmente misogina e razzista. Oh quanto è radicato nel tessuto sociale!
Quindi durante il lockdown per me è crollata quella colonna che ha tenuto su la messinscena: il palliativo delle ferie, delle vacanze, delle cene fuori. Rinchiusa in casa come una prigioniera, mi resi conto che in realtà ero sempre stata prigioniera della mia stessa vita. L’unico modo per uscire da questa gabbia era di rompere gli schemi, di fare il salto, abbandonare la sicurezza della prigione, buttarsi nel vuoto (e che vuoto!) e mettersi in proprio, facendo ciò che in tutti questi anni mi ha salvato e mi salverà: cucinare.
Per questo ho deciso di aprire il mio locale.
Sarà una Ravioleria, in cui proporrò i tipici ravioli cinesi con il meglio degli ingredienti italiani, fatti a mano, più delle proposte limited edition in cui sperimenterò nuove combinazioni e sapori. Ho scelto Bologna come luogo in cui far nascere l’attività: è la città in cui sono cresciuta, da cui sono scappata dieci anni fa senza nulla, per la me diciannovenne era stata una prigione, ma ora, dopo dieci anni, con un bagaglio di ricchissime esperienze, cambiata ma pur sempre la stessa, buffo a dirsi la erigo a tempio della libertà ritrovata.
Sono sicura che sarà una grande avventura.